Abbiamo superato la metà di febbraio e sui social sono girati decine e decine di reel e storie, che ci hanno “raccontato” il Carnevale degli italiani. Ovviamente, una delle località protagoniste di questa ricorrenza è stata la rinomata Venezia, ma ci sono altri Carnevali altrettanto celebri e degni di nota nella nostra penisola, anche se non così tanto noti a tutti: uno famoso, è quello siciliano ad Acireale (Catania), considerato, nella classifica, il terzo più bello del nostro Paese.
Pochi giorni fa è terminato il Carnevale egadino, anche questa una tradizione che sa tutta di Sicilia.
In questo mio pezzo, voglio raccontarvi in che modo si sono svolti i festeggiamenti sull’isola di Favignana (visto che, al momento mi trovo sul posto) e anche qualche curiosità sulle origini storiche del Carnevale siciliano.
Non si conosce il periodo preciso dell’origine di questa festività religiosa, nata dai pagani, passata poi ai cattolici e ai cristiani e non ha una data fissa di festeggiamento ogni anno, perché dipende da quando “cade” la Pasqua. I “travestimenti” risalgono alle feste in onore delle antiche divinità dei vari popoli. Nel corso di queste cerimonie era lecito dedicarsi allo scherzo, al divertimento e al gioco. I latini, per esempio, dicevano: “Semel in anno licet insanire.”, che tradotto significa “Una volta l’anno è lecito impazzire.”
Per quanto riguarda la nostra isola meridionale, si suppone che essa sia nata a Palermo nel XVII secolo circa e che la sua durata era compresa tra l’Epifania e la Quaresima, appunto. Il Carnevale, il cui nome deriva dalla locuzione latina “Carnem levare”, ovvero “privarsi della carne” in italiano, prevedeva l’astensione completa dal consumo di carne nel periodo dei quaranta giorni della quaresima. Ma in questo spazio temporale in particolare, la celebrazione avveniva attraverso danze tradizionali e camuffandosi con maschere pittoresche. Tra i balli, vi era la cosiddetta “danza degli schiavi”: i partecipanti indossavano le vesti dei servi e si dimenavano al ritmo dei tamburi.
Oppure, esisteva l’”abballavirticchiu”, una parola che per noi nordici risulta davvero curiosa ed esotica. Ebbene, essa si compone di due espressioni dialettali, cioè “ballare” e Virticchio. Quest’ultima, a sua volta, ha molteplici significati: il primo è legato proprio all’origine latina vaerticulus, con cui si indicano le articolazioni del corpo umano; il secondo, il virticchio era la parte più pesante del fuso dell’arcolaio (il paragone era con i fili di seta che correvano veloci su questo strumento da lavoro); il terzo, Virticchio è un celebre personaggio dei pupi siciliani.
La fusione di tutte queste accezioni messe insieme, fa sì che con Virticchio si intendesse anche e soprattutto un modo di muoversi forsennato, come preso dalla frenesia, con agitazione: da qui, l’abballavirticchiu, che era un altro tipo di danza (simile a quella degli schiavi descritta sopra), sempre a suon di tamburi eseguita con indosso dei costumi, il cui scopo era di far divertire chi avesse modo di osservarla.
Anche il Carnevale siciliano, così come quello veneziano, ha delle maschere famose, a seconda della zona in cui si festeggia. Per esempio, Peppe Nappa (o Beppe Nappa), il cui nome deriva dal termine dialettale “nappa”, cioè “toppa”, è tipico di Sciacca e si tratta di un personaggio pigro, ma allo stesso tempo capace di grandi prodezze acrobatiche. Nei racconti, svolge spesso il ruolo di servitore ed è amante della cucina e del buon vino. A Sciacca, si è soliti preparare un carro a lui dedicato che apre la parata e a cui poi si dà fuoco nella piazza cittadina.
Poi c’è U’Scacciuni, che proviene da Cattafi, nei pressi di Messina: si tratta di una figura coraggiosa, che rappresenta un bottino di guerra, simbolo dei saraceni sconfitti. Si dice, infatti, che nel 1544, un gruppo di saraceni capeggiato da Hjerdiss Barbarossa, mentre saccheggiava le zone del messinese, venne sorpreso da alcuni contadini che, armati di vanghe e bastoni, riuscirono a sventare il loro attacco e ne indossarono le vesti in segno di vittoria.
Nel Carnevale Termitano (Termini Imerese, nei pressi di Palermo), sono celebri U’Nannu ca’Nanna: il primo è un signorotto allegro che rappresenta l’essenza stessa del Carnevale, la sua figura viene arsa sul rogo durante il martedì grasso, secondo la leggenda, in una sorta di rito di purificazione. Nanna, invece, con le sue lacrime versate per Nannu, simboleggia l’abbondanza.
Nel trapanese, in particolare a Salemi, sono famosi i Giardinieri, che indossano abiti ottocenteschi, con cappelli di paglia e nastri colorati e i “Giardinieri di Salemi” hanno anche rappresentato, con “La Spina”, la maschera tipica, la Sicilia al Carnevale di Venezia, con l’intento di valorizzare ed esportare i carnevali storici del territorio.
Nella tradizione siciliana, naturalmente, non possono mancare le parate dei carri.
E lo stesso vale per Favignana.
I festeggiamenti per il Carnevale sono cominciati l’8 febbraio, a differenza del “mio” milanese Ambrosiano, che comincia la settimana successiva: i bambini si sono tutti messi in mostra con le loro fogge, passando da una delle piazze principali del paese (Piazza Madrice), giungendo poi al molo turistico, nei pressi della Camparia (oggi un locale storico della movida), tra danze e musiche.
Anche il 9 febbraio ha visto in scena i bambini, con l’evento “Gatta ci cova”, appoggiato dall’associazione SAIE (l’Oasi felina, Soccorso Animali Isole Egadi), all’interno di Palazzo Florio, dove i pargoli sono stati truccati apposta per l’occasione.
E naturalmente, ecco che arriviamo al 10, all’11 e al 12 febbraio, quando i carri hanno sfilato per le stradine del borgo, in un’atmosfera davvero gioiosa.
Quest’anno non si sono visti grandi numeri, negli anni scorsi (e si spera anche in futuro) ne venivano realizzati molti di più, bisogna pur sempre considerare che Favignana non è una grande città, ma una piccola realtà isolana.
Partendo da un punto dietro il carcere ormai in disuso, i carri hanno cominciato il loro défilé in direzione Piazza Madrice, uno alla volta.
C’è stato quello degli “Svalvolati del Polo Sud”, realizzato apposta per sembrare un iceberg, con un grande pinguino al comando. Naturalmente, coloro che lo hanno creato e che erano al suo seguito, indossavano tutti un outfit adeguato, quindi tanti sfeniscidi (il nome dell’ordine dei pinguini, in scienze) danzanti, dotati di papillon rosso.
Il carro successivo è stato a tema “Avatar”, il blockbuster di James Cameron e, improvvisamente, la piazza si è riempita di ragazzi e ragazze “trasformati” in Na’vi blu.
Devo dire che sono rimasta piacevolmente sorpresa dall’originalità di questo gruppo: hanno sfruttato un vero albero di ulivo per simulare il grande Albero Casa della tribù indigena del film e hanno posizionato un fantoccio tra i suoi rami per generare l’illusione di qualcuno appollaiato sopra. Tutti avevano un make up davvero impeccabile, fedelissimo alla pellicola.
Così come è stato convincente il team legato al carro ispirato al manga e all’anime (rispettivamente, fumetti e cartoni animati giapponesi) di “One Piece”, dove è stata creata una vera e propria imbarcazione simile in tutto e per tutto alla Going Merry, la nave della ciurma di pirati più famosa del momento, visto il live action di Netflix.
Il corteo ha proseguito il suo cammino fermandosi in Piazza Europa, sede del municipio, e canti, balli, musica, panini con la sasizza (salsiccia) sono stati presenti fino a sera. Il piazzale, più tardi, si è trasformato in una discoteca improvvisata all’aperto ed erano veramente in pochi a non indossare mise carnevalesche.
Ovviamente, è stata indetta una giuria per decidere quale fosse il carroccio più bello della parata.
Neanche il vento e la pioggia hanno impedito a tutti di divertirsi e di partecipare, il vincitore è stato… rullo di tamburi… il carro di “Avatar”!
C’era da aspettarselo, d’altronde.
Insomma, il Carnevale favignanese è una piacevolissima esperienza, degna di essere vissuta, proprio perché conserva quei tratti folkloristici che, mano a mano, nelle grandi città come Milano vanno perduti. Certo, le tradizioni si piegano sempre al volere del tempo e subiscono, lentamente, un’evoluzione che, tuttavia, non le snatura mai. Soprattutto laddove la cultura locale è ancora presente e viva, come in Sicilia.
Certe ricorrenze è giusto che rimangano eterne e magari, chissà, l’anno prossimo riuscirò anch’io a partecipare al corteo con fantasia e creatività!
D’altronde: “Un diamante è per sempre, ma anche i coriandoli non scherzano.”
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