Favignana è un’isola particolare: molti di coloro che vi approdano, se ne innamorano istantaneamente, decidendo di tornarci, se non addirittura restare. Ma non solo: in tanti, vivendola anche durante l’inverno, si lasciano ispirare dalla sua natura, dalle sue tradizioni, dalla sua storia e realizzano opere d’arte di ogni tipo. Quando un luogo è così selvaggio, incontaminato e anche, a suo modo, isolato, è facile, per chi crea, lasciarsi guidare dai moti dell’animo, trasformandoli in una tela maestosa, in una storia intrigante o in una statua primordiale.
Oggi vorrei farvi scoprire un grande pittore, nativo di Paceco (Trapani), che sfrutta lo scoglio egadino per la propria arte: Giovanni Marano.
«Sono un professionista pittore perché dipingo da sempre, da quando ero ragazzino.», mi spiega mentre siamo accomodati all’ombra di un albero in Piazza Madrice «Ho 70 anni. Mia madre, per tenermi lontano dalla strada, mi mandava da un artigiano che si occupava di ceramica. Ho dipinto alcuni suoi lavori da ragazzino. E da lì è nata questa cosa.» Mi espone altresì che, nonostante abbia frequentato il liceo per qualche anno, ha appreso la tecnica pittorica completamente da autodidatta, dimostrando un talento innato.
Ha infatti vissuto per dieci anni a Roma, dove ha lavorato nel mondo della grafica pubblicitaria, collaborando anche con grandi nomi nostrani, come gli stilisti Lino Lo Pinto e Pino Laccetti o i pittori Mario Schifano, Franco Angeli e Tano Festa. Incontri casuali e preziosi, che gli hanno donato un immenso bagaglio di esperienza e passione. Cartellonistica industriale, scenografie per le televisioni locali, murales… Tutti canali di comunicazione visiva eseguiti anche a Trapani che portano la firma di Giovanni Marano.
Mi piace vederlo come un “artista vagabondo”. Giovanni stesso si considera “randagio”. Prima di tutto, è un uomo che trae spunto da qualsiasi angolo, la sua Musa è la realtà che lo circonda. Il mare circostante con i suoi fondali, le creature che lo popolano, la flora che dona un po’ di verde a questa terra che d’estate si presenta brulla agli occhi dei turisti: «Io dipingo quello che vedo, come tutti i pittori, credo.»
Ed è così che banchi di pesci, polpi, cacti, fichi d’india, paesaggi marini prendono forma in maniera limpida e fluida sulle sue tele.
In secundis, Giovanni ha esposto i suoi quadri in diverse gallerie in giro per l’Europa, ma solo seguendo le proprie regole, avendo una propria idea, rispettando solo ed esclusivamente il suo volere. Tant’è che alcune delle sue prime mostre sono avvenute a bordo del suo catamarano, in giro per il mare, sia a Pantelleria che nelle isole Egadi.
La fama, i soldi, le opportunità lavorative non l’hanno mai snaturato, non l’hanno mai piegato, è sempre stato totalmente fedele a sé stesso e al suo pennello.
Un pennello che usa per elaborare quadri dalle tinte variopinte, esplosioni di colori eseguite tramite tratti delicati e chiaramente influenzati dalla passione che Giovanni Marano nutre per l’Impressionismo e la Pop Art.
Soprattutto l’Impressionismo risulta come lo stile artistico che meglio descrive l’arte di Marano. Come un moderno Claude Monet, egli dipinge all’aperto. Passeggiando per le vie di Favignana, tutti i giorni si può avere modo di imbattersi nell’atelier mobile di Giovanni. Lui, infatti, è letteralmente un pittore en plein air (all’aria aperta). È capace di trasformare un attimo di connessione profonda con l’arte in un momento di convivialità, di festa, coinvolgendo anche occasionali musicisti serali che accompagnano le sue pennellate con le loro note, riempiendo di vita e di brio le viuzze del centro, rendendo le sue opere una vera e propria performance di strada.
E come un romantico vagabondo, Marano non dispone di una galleria o di un atelier al chiuso in cui si possano ammirare i suoi lavori. La natura delle sue opere è fugace, è il simbolo del carpe diem: solo se cammini nei vicoli, se ti mescoli tra la gente del luogo, se senti il vibrare della musica nell’aria, i passi e le voci… in una parola, solo se decidi di vivere puoi vedere Marano immerso nei suoi colori a olio, fare un’offerta per acquistare uno dei suoi dipinti e portarlo via con te.
Giovanni possiede un piccolo terreno a Favignana, nei pressi della Grotta Perciata, dove lavora e dove, chi vuole, può fermarsi a curiosare. In futuro vorrebbe organizzare qualche evento in quello spot, per coinvolgere la gente, per far parlare le sue tele e le sue opere, per rendere omaggio alla purezza di ciò che fa, soprattutto in una regione che, nonostante disponga di un patrimonio culturale così vasto, sembra non comprendere l’importanza dell’arte.
«A quei tempi non c’erano ancora i computer,» afferma Giovanni, parlando dei suoi anni nell’industria pubblicitaria a Roma «queste erano cose che si facevano semplicemente con le proprie mani. Era tutto più vero e anche la gente, forse, era più vera e reale.»
Queste parole, nonostante la grande differenza generazionale che ci separa, le ho particolarmente sentite. Non posso fare altro che condividere lo scoramento derivante da un’epoca storica come quella in cui vivo, caratterizzata da un incedere verso una sempre più perversa finzione, ipocrisia e falsità, dove il confine tra immaginario e reale si fa sempre più sottile, mettendo in discussione verità e illusione (o disillusione?).
Forse proprio per questo amo gli artisti come Giovanni Marano. Perché sono il vessillo dell’unica autenticità che ci rimane: l’arte, l’espressione dell’io, senza che questa venga criticata, giudicata o additata.
In fin dei conti, come diceva Gustave Flaubert: “Se c’è sulla Terra e fra tutti i nulla qualcosa da adorare, se esiste qualcosa di santo, puro, sublime, qualcosa che assecondi questo smisurato desiderio di infinito e di vago che chiamano anima, questa è l’arte.”
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