Favignana fa parte dell’Arcipelago delle Egadi che, a sua volta, fa parte dell’Area Marina Protetta più grande del Mediterraneo, con un’estensione pari a quasi 54 mila ettari.
Per tale motivo, in questo luogo, la preservazione della flora e della fauna è più che fondamentale. In effetti, se osserviamo fondale, si possono scorgere tante specie diverse di pesci, molluschi, crostacei, vegetazione, foreste di posidonia che sono il vero polmone del mondo.
Ed è in questo scenario che si ha l’occasione di incontrare, con un po’ di fortuna, anche i delfini e le tartarughe marine.

Purtroppo, in questo contesto, è noto il problema della plastica che affligge ogni parte del globo, gli spostamenti intensivi dei natanti, delle imbarcazioni e delle navi comportano gravi fonti di disturbo, soprattutto nei mesi estivi, quando il via vai diventa eccessivo. Il fatidico overtourism.
A scopo di proteggere queste indifese creature dotate di carapace, è stato allestito un Centro di Recupero per le Tartarughe Marine proprio sull’isola, all’interno dell’Ex Stabilimento Florio.
Una delle disponibili e gentili ragazze che lavorano presso lo stabulario mi ha parlato un po’ del loro operato, dopo il termine delle visite guidate all’interno del centro: “Siamo un centro di recupero per le tartarughe marine, siamo gestiti dall’Area Marina Protetta delle Isole Egadi […] E funziona come un vero e proprio ospedale veterinario. In questo momento, all’interno dello stabulario, lavoriamo in quattro: un biologo marino, che sono io, cioè quella figura che si occupa della gestione quotidiana delle tartarughe in degenza, della loro alimentazione, del loro monitoraggio, di eseguire tutto quello che il veterinario può prescrivere; poi abbiamo un veterinario specializzato in rettili, quindi in animali esotici, che si occupa delle visite, degli interventi chirurgici e viene una volta a settimana a organizzare il lavoro; e poi abbiamo due educatrici ambientali, quindi che si occupano di tutta quella che può essere la sensibilizzazione sia dei bambini che degli adulti, con il lavoro delle visite guidate che facciamo presso la struttura.”.
Mi ha spiegato inoltre che, durante l’inverno, avvengono delle lezioni online, con un tour virtuale del centro per chiunque fosse interessato.
Un’ottima iniziativa, questa, soprattutto per quella che è una parte davvero rilevante nella conoscenza di questi animali e del territorio: la sensibilizzazione, appunto.
È estremamente importante sapere come comportarsi in presenza di una tartaruga marina. Il centro di recupero funziona a segnalazione: qualora si avvistasse una tartaruga marina in difficoltà, bisogna chiamare tempestivamente il numero di SOS Tarta, 338.5365759, attivo h24. Anche il numero dell’Area Marina Protetta Isole Egadi è un ottimo contatto in questi casi: 0923.921659.
Se la tartaruga si trova nelle acque dell’arcipelago, gli equipaggi della A.M.P. provvedono direttamente al recupero.
“Abbiamo due sedi,” continua a spiegarmi la biologa “una ambulatoriale, comprensiva di sala operatoria e radiologia, che si trova vicino al porto, nello scantinato di Palazzo Florio. E poi uno stabulario, che è una degenza, dove le tartarughe stanno prima di essere liberate, per prendere peso e acquaticità, e si trova proprio qui allo Stabilimento Florio.”.
Come dicevo poc’anzi, il problema principale per le tartarughe marine è la presenza in mare della plastica, mi insegna sapientemente la biologa: tutti gli esemplari che fanno il loro ingresso nel centro hanno plastica nel loro stomaco. Nessuno escluso, a prescindere dalla motivazione che c’è dietro la chiamata di soccorso.
Questo perché le tartarughe sono ghiotte di meduse, calamari e animali di questo genere e, ovviamente, non riescono a distinguere la differenza tra una busta di plastica e un essere “tentacoloso”. Dunque, non capita di rado che le tartarughe ingoino i nostri rifiuti. Il punto è che non sono in grado di rigurgitarli: all’interno del loro esofago, infatti, sono presenti delle spine fatte apposta per spingere il cibo verso lo stomaco. In poche parole, è una strada a senso unico. Una volta raggiunto lo stomaco, la plastica si trasformerà in una sorta di palloncino artificiale, che non permetterà alla tartaruga di immergersi, costringendola a rimanere perennemente in superficie e impedendole di procacciarsi il cibo in profondità. In questo modo, la poverina morirà di fame.
O ancora: potrebbe rimanere intrappolata in una rete o comunque in una matassa di plastica sott’acqua, ciò le impedirebbe di prendere aria in superficie e la causa della morte sarà l’annegamento. Perché, sì, le tartarughe marine non respirano sott’acqua, ma respirano la stessa aria di noi esseri umani.
Paradossalmente, tuttavia, il problema della plastica è anche il più semplice da risolvere: non è infatti necessario alcun intervento chirurgico. La soluzione è una dieta particolare, molto grassa, che permetterà l’evacuazione completamente naturale del corpo estraneo.
Rimane il fatto che una tartaruga impigliata in una rete o nella plastica può riportare ferite più o meno gravi agli arti, dunque è essenziale l’intervento tempestivo delle forze preposte al salvataggio.
Caso diverso, anche se meno frequente della plastica, è l’ingerimento degli ami da pesca, che vanno a creare danni ben più gravi nel corpo della tartaruga. È importante ricordare che quando si vede un amo incastrato all’interno della bocca dell’animale, non bisogna assolutamente cercare di estrarlo tirando la lenza: lacerereste in maniera quasi irreparabile l’apparato digerente della povera bestia, causandole tagli profondi. Chiamate le autorità competenti e lasciate che se ne occupino loro.
Sfortunatamente, in questi casi, non sempre l’esito è positivo. A questo proposito, sono in commercio dei nuovi ami da pesca, più grandi e di forma tonda, in modo che non possano conficcarsi erroneamente nella gola della tartaruga.
Un guaio ulteriore può essere la collisione accidentale (si spera non intenzionale) con i natanti, per quanto si tratti di una situazione ben più rara della plastica. Conseguentemente a ciò, la tartaruga può riportare scheggiature al carapace, al piastrone (il dorso) o alla pancia. La rottura del carapace si può risolvere con una ricostruzione tramite resine. Si tratta comunque di un processo lungo, costoso e impegnativo.
“Le tartarughe entrano qui, nel centro di degenza pre liberazione, dopo aver superato quella che è considerata come la fase critica. Quindi, di solito, non fanno più terapia farmacologica, si tratta solo di far prendere loro peso […], riprendono l’acquaticità (termine con cui si designa il nuoto, poiché una ferita a uno o più arti può aver compromesso questa capacità). Quando poi riprendono a nuotare autonomamente e a cibarsi senza problemi, vengono liberate.”.
Al momento, fortunatamente, vi è solo una tartaruga in degenza: la vivace Astrea, un esemplare femmina di 30 anni, 30 kg e lunga 61 cm. È stata salvata l’1 febbraio del 2023, a causa di una costrizione da materiale plastico sulla pinna anteriore destra, nonché di ingestione dello stesso materiale.
La guarigione sembra procedere a gonfie vele e si spera di poterla rimettere in mare nel mese di ottobre dell’anno corrente 2024.
La biologa mi spiega che le specie di tartaruga marina che popolano il nostro Mar Mediterraneo sono tre:
- La Caretta caretta, quella che viene perennemente recuperata dal Centro di Favignana e dall’AMP di Trapani. Dal 2015, solo questa specie ha varcato le soglie dell’ambulatorio e dello stabulario. È infatti la più comune di tutto il Mediterraneo. È la più piccola delle tre.
- La tartaruga verde, un po’ più difficile da avvistare rispetto alla caretta caretta. Ha dimensioni leggermente più grandi.
- La tartaruga liuto, un esemplare in realtà prettamente proveniente dall’Oceano Atlantico, ma che transita comunque nel Mediterraneo per lunghi periodi. È un animale enorme, il più grande al mondo della sua specie. Rispetto alle altre due, il suo carapace non compare con colori marroni o verdognoli, ma con tonalità tra il nero e il bluastro.
L’accoppiamento tra tartarughe avviene un po’ come lo immaginate: in maniera canonica. La femmina, poi, si dirigerà verso una spiaggia tranquilla dove potrà scavare una fossa in cui deporre le uova, per poi riprendere il largo, lasciando che i suoi piccoli nascano in autonomia. Il sesso viene determinato dalla temperatura di ciascun uovo. I piccoli, poi, prenderanno la strada del mare in maniera del tutto indipendente. I nidi di questi animali vengono recintati in tutta Italia e in altre parti del mondo, con segnalazioni e cartelli indicanti le date di incubazione e della possibile schiusa. Occorre non andare a scavare nella sabbia e non disturbare la tartaruga mentre è intenta a deporre. Non intralciate il processo intervenendo in maniera inopportuna.
Come dicevo, vengono organizzate delle visite all’interno del centro di recupero. Completamente gratuite, hanno luogo ogni mezzora, durante l’orario di apertura dello Stabilimento, tutti i giorni tranne il lunedì, che è il giorno di riposo per ragioni veterinarie.
Avviene prima una lezione sulla salvaguardia delle tartarughe marine, ricca di informazioni utili e interessanti. Dopodiché, con il dovuto rispetto e la dovuta cura, si entra nella stanza dove sono presenti le vasche di riabilitazione contenenti le tartarughe.
Potete trovare la loro pagina Instagram cliccando qui
Vi invito a dare un’occhiata, si tratta di un’esperienza davvero unica e irripetibile, se venite a Favignana.

Dobbiamo imparare a fare tutto quello che è in nostro potere per preservare questi e tutti gli animali che nuotano nel nostro mare.
Come dice una frase di un anonimo: “Nel cuore del mare, la tartaruga danza, traendo forza dal blu profondo, una sinfonia di vita che avanza.”
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