È il 10 febbraio 2025 e mentre sto abbozzando quanto segue, sto passeggiando sulla spiaggia di Lido Burrone, con il cielo limpido, il sole caldo nonostante sia inverno e le impronte dei miei piedi nudi sulla battigia.

La porzione di mare che circonda le isole Egadi è come un forziere che custodisce un tesoro inestimabile: un vero e proprio patrimonio di fanerogame che va preservato sotto ogni suo aspetto. Non a caso le isole di Favignana, Levanzo e Marettimo si trovano all’interno dell’Area Marina Protetta più grande del Mediterraneo, con una flora e una fauna ittiche variegate e preziosissime.

Tra le diverse ricchezze che popolano queste acque, ce n’è una in particolare, indispensabile per il sostentamento di tutta la vita marina e in buona parte anche di quella terrena, considerata come “l’oro delle Egadi”: la Posidonia oceanica.

Sfatiamo subito un mito per i profani: non è un’alga, ma una pianta acquatica. Qual è la differenza? È molto semplice: la prima, a differenza della seconda, non dispone né di radici, né di foglie, né di fiori e nemmeno di frutti. Le alghe sono costituite da un’unica struttura vegetale che prende il nome di tallo.

La Posidonia, invece è, come dicevo, una pianta marina provvista di radici, di un fusto dotato di rizomi (una modificazione ingrossata del fusto che funge da riserva di amidi e proteine, per permettere alle piante di sopravvivere sottoterra) e di foglie unite in diversi ciuffi. Appunto, distinta con il termine fanerogame. Producono anche frutti, volgarmente conosciuti come olive di mare.

Queste “olive” custodiscono i semi della posidonia, permettendone la riproduzione e il nutrimento. Infatti, considerato che esse sono rivestite di sostanze oleose che aiutano nella galleggiabilità, possono essere trasportate per lunghi tratti dalle correnti e dal vento.

Inoltre, tutto l’insieme di radici, rizomi e sedimento, viene definito matte.

Sebbene si chiami “posidonia oceanica”, in realtà, questa specie è endemica del Mar Mediterraneo, e crea delle vere e proprie praterie sul fondale denominate posidonieti che oscillano seguendo la corrente. Ogni volta che mi immergo nelle acque di Cala Rotonda o di Cala Pirreca o di qualsiasi altro punto di questo lembo di mare, rimango incantata nell’osservare come queste foglie si muovano placide e a ritmo in una danza silenziosa.

La Posidonia non solo è una sorta di giungla in miniatura (sensazione che si percepisce maggiormente quando ci si nuota a un palmo di naso), ma costituisce la comunità climax del Mediterraneo.

Cosa si intende con questa espressione? La parola climax deriva dal greco e significa “scala”. In ecologia, si parla di climax quando si raggiunge lo stadio finale dell’evoluzione di un determinato ecosistema. In poche parole, se le condizioni ambientali persistono, esso sarà in grado di autoriprodursi in maniera perpetua nel corso del tempo.

Se per noi terrestri uno dei polmoni del mondo è la Foresta Amazzonica, per le creature abitanti di queste acque è la Posidonia a fornire l’ossigeno e ad assorbire l’anidride carbonica, tramite la fotosintesi clorofilliana, che conosciamo a memoria dalle elementari, insieme alle industrie siderurgiche, alla Mesopotamia mezzaluna fertile e alle barbabietole da zucchero. Questo processo, nel caso della Posidonia, si innesca grazie al parenchima aerifero, un tessuto che negli esseri vegetali permette tutti gli scambi gassosi.

Ho detto che il suo nome completo è Posidonia oceanica, ma si è optato per questa tassonomia solo nel 1813 grazie allo studioso Delile. In realtà, la sua denominazione originaria era Zostera Oceanica, comparsa per la prima volta nello scritto “Systema Naturae”, considerato come il punto di partenza della nomenclatura zoologica, pubblicato nel 1735 e redatto dal medico botanico svedese Carlos Nillson Linnaeus (o Carl von Linné, tradotto in italiano come Carlo Linneo).

Foto scattata da Roberto Bottini (a sinistra) durante la nostra immersione a Cala Rotonda (io a destra)

Ma questa verde foresta marina non funge solo da riparo e da “bombola d’ossigeno” del mare: la sua presenza contrasta l’erosione delle coste. Questo grazie alla resistenza del matte, che consolida il fondale e lo rende meno sensibile ai moti ondosi e alle forti correnti che potrebbero potenzialmente distruggere il litorale.

Ma bisogna ringraziare anche le banquette. Scommetto che vi sarà capitato più volte di imbattervi in massicci raggruppamenti di posidonia morta sulle spiagge. Quegli ammassi di piante ormai ingrigite e maleodoranti che prendono la forma di una scogliera e che possono apparire sgradevoli alla vista. Ecco, questi sono denominati banquette e sono un ottimo scudo contro le onde.

Se pensavate che i suddetti cumuli spiaggiati fossero sinonimo di scarsa pulizia, siete davvero fuori rotta. Dovete rallegrarvi, invece, di questa visione, perché significa che le acque che vi circondano sono più che pulite e floride.

Vi potrebbe capitare anche di inciampare in qualche “pallina” rotonda e marrone composta dai residui fibrosi della posidonia, creatisi grazie al moto ondoso e denominati egagropili, poiché ricordano le palline di pelo rigurgitate dagli animali. Personalmente, preferisco l’appellativo palle di mare, seppur decisamente ambiguo.

A ogni modo, a prescindere dalla loro importanza, i resti di queste piante sono catalogati come rifiuti solidi, dunque vanno smaltiti.

Ma niente paura: la posidonia non finisce in un inceneritore, ma viene riciclata e riutilizzata per la realizzazione di ammendante compostato verde (detto breve, compost verde), ovvero un fertilizzante naturale e total green. Inoltre, si tratta di un ottimo alimento per gli animali.

Ma ciò che trovo veramente interessante è il suo utilizzo nel passato. Infatti, una volta, le foglie della pianta acquatica venivano sfruttate come isolante nella costruzione dei tetti, nonché come lettiera per il bestiame. Un suo soprannome curioso è alga dei vetrai, poiché usata per l’imballaggio di oggetti fragili. E la posidonia era utilissima anche in farmacologia: grazie a essa, si potevano alleviare e curare irritazioni e infiammazioni.

Pensando comunque al presente, gli scienziati stanno studiando ulteriori impieghi, come per esempio l’imbottitura per i cuscini e i materassi da spiaggia, dopo un’attenta pulizia delle foglie, naturalmente. Fidatevi di me che spesso cammino sulle banquette (stando attenta a non spezzarmi un piede): non sembrerebbe, ma sono morbide!

Oltretutto, pare che studi recenti confermino le proprietà antiossidanti e antifungine dell’estratto di queste foglie, contenente diverse sostanze polifenoliche (antiossidanti naturali presenti nelle piante). Questo permetterebbe un salto di qualità nella conservazione degli alimenti.

Come avrete avuto modo di capire, dopo questo mio breve scritto, la Posidonia è letteralmente di vitale importanza e ci dobbiamo impegnare affinché essa perduri e continui a simboleggiare un mare limpido e pulito.

Anche perché, come dice l’aforista Fabrizio Caramagna: “L’acqua di mare vicino agli scogli è l’acqua più limpida e luminosa che ci sia. Il sole penetra profondamente dentro di essa come se fosse una mano, e cerca le cose che può cercare una mano, ed è felice di toccarle: ricci, conchiglie, pietre colorate e alghe.”