Gli alcolici sono un prodotto amato da una buona fetta della popolazione mondiale, un po’ per il detto “bere per dimenticare”, ma soprattutto perché, se distillati bene e di buona qualità e se assunti con moderazione, possono essere un’ottima compagnia. C’è chi ama sorseggiarli per un momento di ispirazione psicologica e creativa, chi li usa per allentare o abbattere del tutto i freni inibitori, chi semplicemente è un buongustaio che beve con discernimento ed equilibrio.
Ebbene, per certi palati, Favignana è la culla non solo della Birra Favorio (di cui vi ho parlato in un articolo che potete leggere cliccando qui), ma anche di un distillato così buono da averne portato con orgoglio il nome mentre veniva nominato come il gin migliore d’Europa: Isola di Favignana Gin.
Nino Campo, uno dei giovani e brillanti creatori e gestori di questa attività, mi ha dato appuntamento in un piccolo chiosco in riva al mare, proprio sulla spiaggia della Praia, a pochi passi dall’ex Stabilimento Florio (di cui vi ho ampiamente parlato nell’articolo che potete leggere cliccando qui).
Mentre sorseggiavamo un buon cappuccino, con una piacevole brezza marina che portava un po’ di rinfresco, Nino mi ha raccontato della genesi del loro distillato. Originario di Favignana, asserisce che: «Come tutte le persone nate qua, forse spesso non ci accorgiamo delle bellezze dell’isola e di quello che abbiamo, perché lo abbiamo sempre a portata di mano.»
Probabilmente è stato questo pensiero che l’ha spinto, dopo la conclusione delle scuole superiori, a partire per andare altrove, per scoprire qualcosa di nuovo. Ha dunque proseguito gli studi in una facoltà di Economia e Mercati Finanziari in Toscana, per poi spostarsi a Londra dove ha lavorato come cameriere allo “Sketch, The Lecture Room and Library” e al “Dinner by Heston Blumenthal”, due ristoranti che possono vantarsi entrambi di due stelle Michelin. In seguito si è trasferito ed è stato assunto, sempre come cameriere, all’Osteria Francescana di Modena.
Ma durante questo continuo pellegrinaggio, Nino ha sempre avuto una piccola ossessione: «C’è sempre stata dentro di me questa cosa: mi piaceva il fatto che Favignana si potesse disegnare. Quindi, ovunque andavo, in università, sui banchi, stavo sempre a disegnare il profilo di Favignana.»
Era una sua fissa, come se, in cuor suo, la voglia di tornare a casa fosse sempre presente, nonostante tutte le esperienze che stava vivendo. Nino stesso se ne accorgeva, ma non sapeva ancora con quale spirito tornare, con quale pensiero, con quale predisposizione. Vista la sua crescente passione per la ristorazione e per la cucina, considerata anche la professione da lui esercitata negli illustri locali londinesi, pensava di aprirne uno sull’isola.
Proprio rimettendo piede sullo “scoglio egadino”, dopo sei sette anni di mondo “esterno”, e cominciando la stagione estiva come cameriere presso il ristorante Formica, Nino ha conosciuto Thibaut, un ragazzo francese che è diventato suo amico e socio in quella che si prospettava essere una grande avventura imprenditoriale. Dalla loro amicizia è nata l’idea di lavorare nel mondo dell’agricoltura: «Tornando a Favignana, l’ho riscoperta: era tutto più colorato, tutto più profumato, l’isola era più bella e sicuramente io ero più curioso.»
E sono stati proprio quelle essenze, quegli aromi, che al naso di Nino arrivavano come un profumo di casa: quella casa in cui ritorni dopo tanto tempo, un po’ cambiato, un po’ cresciuto, un po’ più maturo.
Non avevano ancora ben chiaro il progetto, ma immediatamente hanno puntato sugli alcolici e sui distillati, in modo da garantirsi un futuro.
Hanno notato che il mercato del gin poteva essere una buona opportunità: «Nonostante non fosse proprio parte della tradizione, il gin ci dava modo di raggiungere più persone parlando comunque di Favignana.»
Per chi non lo sapesse, il gin è una bevanda alcolica incolore realizzata con la distillazione della bacca del ginepro, denominata gàlbulo, coccola o gazzozzola (quest’ultimo nome solo in alcune regioni). Per questo si chiama gin: dalla parola ginepro. Nel caso di Isola di Favignana Gin, la pianta in questione è endemica della Toscana.
In seguito alla macerazione e distillazione di tale materia prima, a seconda del produttore e della ricetta da lui creata, vengono aggiunte le varie miscele botaniche che conferiscono identità, aroma e gusto.
Nino ha continuato il suo racconto: «Abbiamo deciso di aprire un’azienda agricola.», anche con l’aiuto di Umberto Rizza, che ha fornito loro non solo il suo libro incentrato sulla botanica, ma ha anche dispensato ottimi consigli sugli abbinamenti delle erbe aromatiche che offriva l’isola con il ginepro.
Il metodo di distillazione prescelto da Nino, Thibaut e Davide (il terzo moschettiere che si è unito all’iniziativa) è il London Dry, ovvero quello più classico per la creazione di questa bevanda: vengono macerati prima tutti gli ingredienti, poi avviene un’unica distillazione senza l’aggiunta di zuccheri, ottenendo così un liquore secco e con aromi fitologici.
«La ricetta di Favignana Gin è composta da 12 botaniche: rosmarino, elicriso, assenzio, verbena, menta dolce, camomilla romana, scorze di limone, foglie d’olivo e foglie di mirto selvatico.». Questi sono i prodotti che vengono coltivati dai ragazzi nella loro azienda agricola in loco, mentre dall’estero vengono acquistati: radici d’angelica, semi di coriandolo e, naturalmente, le bacche di ginepro.
I prodotti piantati e curati con dovizia a Favignana vengono fatti essiccare e spediti poi in distilleria. Isola di Favignana Gin, infatti, si appoggia a una nota distilleria situata nei pressi di Torino, che si occupa della produzione di altre conosciute bevande nate dal ginepro.
Il brand, come ho accennato nell’introduzione, si può vantare di dodici medaglie in vari concorsi nazionali e mondiali incentrati sul gin, come la Tokyo World Gin Awards. La loro distribuzione, seppur ancora non così tanto massiccia, si sta diffondendo in maniera capillare nel mondo, raggiungendo il Canada, il Libano e l’Australia e portando con onore e orgoglio il nome di Favignana oltreoceano.
Il loro vessillo (il packaging) è una bottiglia dal design semplice, ma iconico: le linee scavate nel vetro, dapprima longilinee e poi più articolate verso il collo della bottiglia, raccontano la storia agricola che c’è dietro la produzione del gin, riportando alla mente i solchi nel terreno fatti con l’aratro, costellati di tanta fatica e tanti ostacoli.
L’etichetta è una riproduzione di un famoso quadro del pittore Gaspare Bertolini, da me tano ammirato (di cui vi ho parlato in un articolo che potete leggere cliccando qui e in un reel che potete visualizzare qua). A Nino non piaceva molto l’idea di usare l’immagine del tonno per promuovere la sua attività: sapeva di “già visto” e ai suoi occhi era troppo sfruttata, essendo Favignana celebre per la mattanza di questo pesce (potete leggere i miei articoli in merito cliccando qui e qua). Ma non ha potuto che accettare di usare anch’egli questo simbolo, dopo aver visto il capolavoro del grande artista Gaspare.
Nino e gli altri ragazzi hanno apportato solo una piccola modifica grafica alla maestosa opera, tratteggiando lo skyline dell’isola con l’oro.
Da una parte, per rimembrare quella affettuosa abitudine che aveva Nino nel continuare a disegnare l’isola, dall’altra per poter dire: “Sì, Favignana è celebre per il tonno, il maiale del mare, ma anche la sua terra nasconde un tesoro.”
E che tesoro! Se c’è una cosa che mi piace sorseggiare è proprio il Favignana Gin, con quel suo aroma e sapore freschi, nonostante la gradazione alcolica si aggiri intorno al 41%. Ogni palato e ogni naso sentirà qualcosa di leggermente diverso. Personalmente, i miei sensi olfattivi captano, oltre naturalmente al ginepro, il profumo della menta e del rosmarino, mentre nelle papille gustative si fa strada anche l’assenzio, creando un curioso contrasto di freschezza in bocca e calore giù per la gola.
Favignana Gin si sta dimostrando sempre più un marchio d’eccellenza che narra dell’isola, di chi la abita, facendo qualcosa che, a mio avviso, si dimostra straordinario: unire tradizione e innovazione, abbinare la propria casa al mondo esterno, andare nel futuro pur rispettando il passato, attraverso uno dei piaceri della vita.
D’altronde, come diceva Clement Freud, il figlio di Sigmund Freud: “Se decidi di smettere di bere, fumare e fare l’amore, non è che vivi più a lungo: la vita ti sembra più lunga.”.
Cliccando qui e qua, potete accedere rispettivamente alla loro pagina Instagram ufficiale e al profilo della bravissima fotografa Carlotta Vigo, che ha realizzato gli scatti presenti in questo articolo.
Scrivi un commento