L’intera isola di Favignana è un gioiello prezioso, tant’è vero che è considerata “la perla del Mediterraneo”. E non potremmo pensarla diversamente, perché ogni volta si rimane ammaliati dal suo mare, con la superficie dell’acqua che brilla e luccica così tanto da dare l’impressione di essere ricoperta da miliardi di smeraldi e zaffiri.

Ma su questa stupefacente farfalla si erge un altro gioiello, una vera e propria opera di architettura industriale: la Tonnara, conosciuta anche come Ex Stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica.

Questa costruzione, con la sua imponenza, domina il porto di Favignana, dando il benvenuto a tutti i turisti che approdano con l’aliscafo.

In effetti è impossibile non notare uno stabile così importante, una tra le tonnare più grandi del Mediterraneo, con un’area di ben 32 mila metri quadrati. Le più conosciute di tutto questo mare sono, appunto, quella di Favignana, la tonnara di Scopello (in provincia di Trapani), di Bonagia (provincia di Trapani) e la Tonnara di San Cusumano (sempre a Trapani).

In effetti, questo è universalmente conosciuto come il tratto di mare ideale per la riproduzione dei tonni. La mattanza, ovvero la fase finale della pesca del tonno, tipica soprattutto nel trapanese, ha origini radicate nel periodo del dominio spagnolo in Sicilia, databile al 1516, quando Carlo V d’Asburgo ascese al trono di Spagna. Vi parlerò più nel dettaglio di questo tipo di pesca in un altro articolo.

L’edificio ha una grandissima risonanza storica per l’isola, una risonanza che impregna ogni mattonella, ogni asse di legno, conferendo a questo luogo un’aura quasi mistica.

Secondo il volume “Cenni storici delle Isole Egadi”, redatto nel 1912 dal Sacerdote Mario Zinnanti, primo regio cappellano curato e rettore della real chiesa parrocchiale dell’isola di Marettimo, la costruzione del primissimo nucleo dello Stabilimento, denominato successivamente “Torino” (per i tonnaroti, ovvero i lavoratori della tonnara, quel luogo aveva la stessa rilevanza lavorativa della Fiat), venne avviata su commissione del genovese Giulio Drago, nel 1859, anno in cui vennero pescati più di 10 mila tonni.

Tuttavia, fu nel 1841 che i Florio la presero in affitto, per la mattanza dei tonni rossi. Vincenzo Florio, cedette la tonnara a Drago nel ’59, appunto, una cessione che durò nove anni. Nel 1868, Ignazio Florio, figlio del defunto Vincenzo, ritornò e comprò tutto l’arcipelago delle Egadi, per una somma pari a 2 milioni e 750 mila lire, fino a quel momento ancora di proprietà del genovese Camillo Pallavicini, fin dal 1637.

Il magnifico complesso che conosciamo oggi, convertito a museo nel 2010, è il risultato dell’ampliamento e della ristrutturazione di quel nucleo iniziale, effettuato proprio per volontà di Ignazio Florio, quando la sua famiglia acquistò la tonnara e i diritti di pesca, nel 1874.

L’ingegnere e architetto italiano Giuseppe Damiani Almeyda (1834 – 1911) venne convocato da Ignazio per i lavori. Egli fu anche l’autore del progetto architettonico di Villa Florio, sempre a Favignana, di cui vi parlerò in un prossimo pezzo.

Ciò che venne fuori, grazie all’elaborazione di Almeyda, è una mastodontica opera di architettura mediterranea, che si distingue proprio per l’utilizzo dei materiali: questo stile, infatti, predilige l’uso di materie prime locali, come il legno, la pietra, la terracotta… o la calcarenite, come in questo caso. E anche questo lo approfondirò in una successiva narrazione.

Fu in questa tonnara che i Florio crearono il rivoluzionario metodo di conservazione del tonno sott’olio, ideato grazie ai ricordi d’infanzia di Vincenzo Florio, che rimembrava come sua madre Giuseppina e suo padre Paolo conservavano il tonno.

Dopo la mattanza, questo pesce, conosciuto anche come “il maiale del mare”, veniva tagliato a pezzi, per poi essere cotto e bollito in 24 caldaie di grandi dimensioni. Successivamente, veniva fatto asciugare, per essere infine pronto per l’inscatolamento.

Anche quest’ultimo passaggio fu particolarmente innovativo: le latte e le scatolette venivano prodotte direttamente all’interno dello Stabilimento, attraverso macchinari specifici e saldatrici. Vennero inventate anche delle scatolette in latta con un’apertura a chiave, mostrate per la prima volta durante l’Esposizione Nazionale del 1891 – 1892, a Palermo.

Lo Stabilimento, grazie all’intraprendenza e al genio della dinastia Florio, riuscì a tirare fuori dalla povertà l’isola di Favignana, portandola a un livello di popolarità, ricchezza e prestigio davvero encomiabili.

Purtroppo, come tutte le cose belle, anche lo splendore della tonnara andò incontro al suo periodo buio, partendo proprio dal declino dei Florio. Per questo motivo, nel 1937, il complesso passò nelle mani della famiglia Parodi, di Genova, che acquistarono tutti i diritti di terra e di mare. Grazie a loro, l’isola continuò a disporre della sua maggiore fonte di guadagno, che, purtroppo, cessò negli anni ’70. La tonnara chiuse i battenti, poiché non era in grado di stare al passo con le nuove dinamiche di mercato intercorse nell’avanzare dei decenni.

Fu solo negli anni ’90 che venne riacquisita dalla Regione Sicilia, ormai in stato di totale abbandono.

I lavori di restauro cominciarono nel 2003, durarono ben sette anni e vennero impiegati più di 14 milioni di euro.

Oggi, dunque, è una istruttiva e interessante tappa obbligatoria per chi decide di soggiornare sull’isola. La sua struttura, che sfrutta l’utilizzo di alti archi, enormi portoni e immensi saloni, le conferisce un’atmosfera oserei dire sacra: camminare per le stanze e per i cortili, osservando e ammirando le caldaie e le alte ciminiere, si ha la sensazione di sentire le voci dei tonnaroti al lavoro, l’odore del sangue fresco e della bollitura del tonno, circondati da un mare e da un cielo limpidissimi, con il rumore delle onde che lambiscono le mura dello stabilimento.

Al suo interno, vi sono diverse esposizioni, partendo già dalle lunghe imbarcazioni caratteristiche, le cosiddette muciare, i vasceddi, le bastarde e i rimorchi, tutte di colore nero, perché ricoperte da uno strato di pece, per farle scivolare meglio sull’acqua; il particolare sistema di reti che veniva usato durante la pesca; i ferri del mestiere dei tonnaroti.

Ma si possono anche ammirare, all’interno di quelli che una volta erano i magazzini di confezionamento, pezzi di archeologia nautica, antiche anfore ripescate dalle profondità marine, frammenti di navi risalenti all’Impero Romano (la battaglia tra romani e cartaginesi ebbe luogo a Levanzo nel 241 a.C.).

E come non menzionare l’installazione permanente di fotografie in bianco e nero di Herbert List, René Burri, Leonard Freed, Sebastião Salgado e Ferdinando Scianna, collocate nell’ex spogliatoio femminile e negli ex magazzini della Trizzana (l’ambiente dove vengono accolte le imbarcazioni che si usavano per la mattanza, che permettono l’alaggio e il varo).

 

 

 

Oppure, i pannelli grafici che illustrano visivamente le attività della tonnara, nella “sala Torino”, nei magazzini del carbone e nei magazzini del sale.

La Stanza dell’Olio ospita un allestimento di centinaia di scatole del tonno Florio, le lattine con le etichette originali del marchio, impilate ordinatamente in un grande salone, veramente preziose dal punto di vista culturale.

E poi, all’esterno, che si affaccia sul mare, c’è il “Bosco”, ovvero quella zona dove venivano appesi i tonni appena pescati, a testa in giù, tramite alcune funi.

Inoltre, sempre all’interno dello Stabilimento, è presente il Centro di Recupero per le Tartarughe Marine, di cui vi parlerò prossimamente, aperto al pubblico durante l’estate.

Immergetevi nella storia di Favignana, immergetevi in questo luogo che vibra, respira, si erge solenne sul mare aperto, non completamente in silenzio, perché se ascoltate bene, vi parla. Vi parla con un proprio linguaggio, vi narra tutte le vicende passate tra le sue mura, con parole fatte di sangue, fatica salsedine.

Non posso che concludere con una citazione presa direttamente dal capolavoro letterario di Stefania Auci, “I Leoni di Sicilia”: “Allora viene calata la tonnara. Perché la tonnara non è solo un edificio, il marfaraggio. È anche un apparato di reti a camere progressive: un metodo inventato dagli arabi e tramandato agli spagnoli, che trova la sua apoteosi in Sicilia. La tonnara è un rito. La tonnara è un luogo in cui le famiglie intere hanno vissuto per centinaia di anni; gli uomini sul mare, le donne negli stabilimenti.”