Ci sono tradizioni che, specialmente nel sud Italia, rimangono vive anche ai giorni nostri. Rituali e ricorrenze che vengono celebrati ogni anno con la stessa passione e lo stesso rigore del passato.

Vi avevo già parlato del carnevale favignanese (potete leggere l’articolo cliccando qui), ma oggi voglio proporvi la festa di San Giuseppe.

Come avevo accennato nel mio pezzo sulla chiesa di Piazza Madrice, il santo patrono di Favignana è il Signore Gesù, ma anche la figura di San Giuseppe è molto importante per i fedeli che abitano nell’arcipelago egadino: infatti, è il santo patrono delle isole di Marettimo e Levanzo.

I festeggiamenti, almeno per quanto riguarda Favignana, si sono svolti il 18 e il 19 marzo. Quest’ultima data, come sappiamo, coincide con la Festa del Papà, non per caso: si pensa che San Giuseppe, il padre putativo di Gesù Cristo (l’espressione “putativo” deriva dal latino “puto”, che significa “credo”, ergo “colui che credeva di essere suo padre”), protettore dei padri e della famiglia, morì proprio il 19 marzo.

Del suo trapasso non si conosce molto, poiché nei Vangeli Canonici egli non viene più menzionato dopo i dodici anni di Gesù. Secondo i Vangeli apocrifi (ovvero quelli non autenticati dalla Chiesa Cattolica), più precisamente nel testo “Storia di Giuseppe il falegname”, tuttavia, si sa che l’uomo morì serenamente alla veneranda età di 111 anni! Alla faccia!

San Giuseppe venne dichiarato patrono della Chiesa Cattolica da Papa Pio IX, nel 1870.

“San Giuseppe col Bambino” di Guido Reni, olio su tela, 1635

Come dicevo, a Favignana le celebrazioni sono cominciate lunedì 18 marzo, con l’allestimento, da parte dei fedeli, di veri e propri altari votivi all’interno delle proprie abitazioni, altari dove l’effige del santo è, ovviamente, al centro della scena.

Le porte delle case dove vengono approntate queste mense, rimangono spalancate per tutto il corso della giornata, per permettere a chiunque di entrare e ammirare, così, l’opera compiuta. E con “chiunque”, intendo letteralmente “chiunque”: amici, familiari, conoscenti, ma anche completi sconosciuti, se il padrone è presente e la porta è aperta, possono entrare.

Il tutto viene accompagnato dalle note suonate dalla banda musicale che, partendo dalla chiesa di Piazza Madrice, vaga per le vie del paese.

La maggior parte delle are, poi, viene smantellata in vista di ciò che si fa il 19 marzo.

Questa è la giornata dedicata alla processione di San Giuseppe (San Gnuseppe in dialetto): dopo la Messa delle 17:00, i cittadini si raccolgono presso l’entrata della chiesa, per poter apprezzare il corteo religioso che trasporta l’effige della famiglia divina. Musica, canti e coriandoli dorati rendono l’atmosfera festosa e al contempo sacrale.

Processed with MOLDIV

A Marettimo, oltre a musica, processioni e altari, è celebre il cosiddetto rituale della Duminiara: nei giorni che precedono la festività, si raccoglie un bel quantitativo di arbusti in giro per l’isola e li si lascia essiccare. Durante la serata dedicata al patrono, si accumulano questi arbusti in fascine, che vengono a loro volta suddivise in tre mucchi a cui viene dato fuoco. Il risultato sono tre roghi che rappresentano la Sacra Famiglia. Secondo la tradizione, nel rogo centrale verrebbero bruciate anche le vecchie barche, mentre i cittadini incitano “Evviva u Patriarca di San Gnuseppe! Viva!”.

Processed with MOLDIV

Non possono mancare, durante questa ricorrenza, i cibi tradizionali. In particolar modo, sono due le pietanze che contraddistinguono questa giornata: il panuzzo di San Giuseppe e lo Sfincione (Sfiunciune, in dialetto).

Il primo è un’usanza culinaria praticamente secolare, poiché l’importanza simbolica di questo prodotto era riscontrabile durante il Medioevo: la festa di San Giuseppe, infatti, avviene proprio con l’avvento della primavera, la stagione dove la vita sboccia, ricomincia, rinasce; la spartizione del pane era considerato un sinonimo di abbondanza. Dunque, la consumazione del pane di San Giuseppe simboleggia l’abbondanza all’ennesima potenza.

La ricetta per prepararlo è molto semplice, ma cambia leggermente a seconda della zona: per esempio, a Palermo c’è l’aggiunta dei semi di finocchio all’impasto, cosa che non accade a Favignana.

Anche la forma del pane, fatto di semola di grano duro, può cambiare, ma la più conosciuta è quella di un panetto rotondo alla base, con una sorta di croce stilizzata intagliata nella parte superiore.

Secondo un’antica tradizione favignanese, se la festa di San Giuseppe ricadeva malauguratamente in una giornata di pioggia e burrasca, era usanza che il primogenito di ogni famiglia andasse a lanciare in mare uno di questi panetti, per placare il cattivo tempo.

Il secondo prodotto gastronomico tipico di questa celebrazione, ma comunque acquistabile in qualsiasi periodo dell’anno, è, come dicevo lo Sfinciune (detto anche sfincia di San Giuseppe).

Si tratta di un dolce fritto, composto da farina, uova intere, tuorli, lievito, latte e zucchero. Dopo aver preparato l’impasto, in modo che risulti morbido ed elastico, lo si lascia lievitare e poi si frigge. Successivamente, lo si passa in una padella con strutto o sugna e ricoperto con ricotta di pecora, scaglie di cioccolato e una guarnizione di scorza d’arancia candita.

Il nome di questa golosità, nata a Palermo, ovvero “i sfinci” (al plurale) designa tutti quei prodotti culinari dalla consistenza morbida, simile a quella di una spugna, indipendentemente dal dolce o salato. Non a caso, l’origine di questa locuzione è araba (isfanj), che a sua volta deriva dall’espressione latina spongia, che vuol dire “spugna”, appunto.

E ancora, sembrerebbe, da alcuni testi presenti nella Bibbia e nel Corano, che la produzione di questa pietanza sia ancora più antica, facendo risultare u sfinciune come un’evoluzione siciliana dei pani e dei dolci arabi e persiani che venivano fritti nell’olio.

A prescindere dalla sua storia, comunque, si tratta di una vera e propria delizia che ho assaggiato personalmente, un peccato di gola degno di tale nome… D’altronde, cosa, in Sicilia, non è un peccato di gola?